Il biglietto dell'AMT

Anche se non è troppo comune, a Torino può capitare di trovare, vicino ai gate della metropolitana o appesi alle paline informative, i biglietti della GTT, l'azienda di trasporti della città. Come molti altri, anche i biglietti della GTT sono validi per un certo tot di tempo e non è raro raggiungere la propria destinazione prima di aver consumato anche solo metà dei cento minuti di durata massima. Ora, poiché i biglietti semplici non sono nominali, è possibile (impropriamente, ma #sticazzi) dare il proprio titolo di viaggio ancora valido a qualcun altro, così da sfruttarlo ancora un po'. Qualche anno fa, durante il ciclo triennale, con i miei compagni avevamo pensato di installare una piccola scatola sulle paline delle fermate vicine al dipartimento, un contenitore per i nostri "biglietti sospesi". Non voleva essere soltanto un gesto simbolico e vagamente anti-sistema, voleva essere un piccolissimo contributo a coloro che rinunciano a spendere un euro e settanta centesimi (questo il prezzo all'ultimo anno di magistrale, al primo anno di triennale era un euro) per spostarsi in città. Può sembrare una piccola cifra, ma facendo due conti, ad esempio considerando che il viaggio è quasi sempre A/R e dura complessivamente più di un'ora e mezza, ci si accorge che può essere una barriera economica che colpisce fasce più vulnerabili della popolazione. Poveri e appiedati. Questo nostro progettino, comunque, non è mai stato realizzato.

Qualche anno dopo e più di mille kilometri lungo lo stivale, devo andare alla cittadella universitaria per il colloquio di dottorato. Il mio ostello si trova in Piazza Duomo. Non conosco la città e non mi rendo molto conto delle distanze geografiche (e nemmeno dell'altitudine, in verità). Decido quindi di affidarmi all'AMT. L'addetto alla reception dell'ostello, uno spagnolo che può avere circa la mia età, ne sa meno di me in fatto di mezzi pubblici ma insieme e con l'aiuto della divina provvidenza (aka Google) riusciamo a definire fermate, linee e orari. Tutte cose che, a tre mesi di distanza, ancora fatico a comprendere appieno (tipo: Perché i numeri sono così assurdi? Come si leggono le paline informative? Perché nella stessa fermata passa lo stesso mezzo ma che va in entrambe le direzioni?). Lo spagnolo, inoltre, mi dice che posso comprare il biglietto a bordo dell'autobus. Un fatto che mi viene confermato non appena metto piede sul BRT1 (che vuole occupare nel mio cuore lo stesso spazio occupato per anni dal 18 <3) da un cartello appeso in bella vista all'ingresso, blu e rosso su bianco. "Vorrei un biglietto, grazie", "non te lo posso fare", "ma qui c'è scritto...", "non te lo posso fare". 7.45, i colloqui sono alle 9.00. A posteriori, avrei potuto ampiamente comprare un biglietto al tabacchino e prendere un altro autobus, sul momento mi convinco che su quell'autobus si gioca il mio intero dottorato di ricerca e decido, quieto quieto, di spostarmi al centro dell'autobus. Il momento di fare il portoghese è arrivato alla prima occasione utile.

Scroccare i mezzi pubblici non è mica facile. Non basta solo stare vicino alle uscite e guardare ad ogni singola fermata che non salgano, da davanti e da dietro, agenti con giacchetta catarifrangente e tesserino appeso al collo, bisogna anche convincersi che ogni passeggero non sia un controllore in borghese, pronto a multarti dopo aver estratto il suo badge da sotto la giacca, come un superman di provincia. Escludo i bambini, escludo i vecchi, specialmente quelli col cappello. Posso escludere gli immigrati? E le donne? Mi focalizzo sul soggetto più probabile, uomo di mezza età, capello brizzolato, fare circospetto. Non ne vedo, mi sento al sicuro. Arrivati ad una delle fermate di Via Etnea, si avvicina una signora, bionda, sulla cinquantina, forte accento siciliano, dolcissima: "io scendo qua, tieni il mio biglietto". E' tutto bellissimo. Ringrazio la signora con eccessiva cordialità, come al mio solito. Intanto l'autista continua ad ignorarmi: sa che non ho il biglietto e che sono rimasto sull'autobus, sa che non ho comprato il biglietto e che una signora me ne ha appena dato uno. Eppure, non dice nulla. Due (o tre?) fermate dopo, un'altra signora mi si fa presso: "ho sentito quello che è successo prima, tieni il mio biglietto, io scendo qui". L'uno due di generosità di queste madame catanesi mi fa innamorare istantaneamente della città e della sua gente. Avendo già il biglietto, comunque, rifiuto. Una donna dietro di noi si alza leggermente dal sedile: "scusi, io non ho il biglietto, non è che me lo può dare?" Immancabilmente, ora, anche lei ha un biglietto.

Finito il colloquio, decido di muovermi di nuovo verso il centro. Chiedo a più persone informazioni sulle fermate delle varie linee, con scarsi risultati. Alla fine, un ragazzo di nome Michele, mi consiglia di prendere la metropolitana (sì, Catania ha una sua metropolitana, una linea come a Torino, shame on you Torino). Mi ci accompagna e lo ringrazio molto, perché non l'avrei mai trovata. Dopo una breve storia di Catania e dei suoi mezzi di trasporto ("qui ci si è mossi sempre coi trenini", mi spiega Michele) raggiungiamo la fermata Milo, un paio di parallelepipedi di cemento appoggiati su un terrazzo deserto, inghiottito dalla luce del sole. Scopro inoltre, con immensa gioia, che gli oltre 40mila studenti di UniCt hanno libero accesso sia agli autobus di linea sia alla metropolitana. Insomma, GTT può solo accompagnare. Sto per fare il biglietto quando una signora, occhiali da sole scuri, completamente vestita di nero, esce dal gate e mi allunga il suo. Senza dire una parola, se ne va a passo svelto. Agente 007: la donna col biglietto dell'AMT. Perplesso entro in metropolitana. Una volta passato il gate, sento il controllore che mi chiama: "scusa, puoi venire un attimo qui?" Colto con le mani nella marmellata. Devo essere risultato particolarmente spaventato, perché aggiunge: "tranquillo, non ti faccio niente. Mi fai vedere quel biglietto?" Mi avvicino, il biglietto proteso in avanti. Lo prende, lo gira, lo guarda con attenzione, me lo restituisce. "Grazie, non avevo ancora visto questa pubblicità." Controllo il biglietto. In effetti c'è una pubblicità di un qualche evento. Saluto Michele e scendo in direzione Stesicoro, ancora più perplesso. 

FWD >>. Alcuni giorni fa, decido con la mia ragazza di andare all'aeroporto a prendere due amici con i quali avremmo festeggiato l'ultimo giorno dell'anno in città. Mentre salgo sull'Alibus chiedendo due biglietti (questa volta posso davvero farlo a bordo) un ragazzo, scendendo, mi fa: "tieni il mio biglietto, l'ho usato dieci minuti." Guardo il controllore, che assiste alla scena. Brizzolato, di mezza età, gli occhiali sottili, capelli radi, il topos del controllore dei mezzi pubblici. Quello sguardo incrociato dura una frazione di secondo: "va beh, te ne faccio uno." Sorride. Sorridiamo insieme. Mi accorgo di non aver ringraziato il ragazzo e lo dico ad alta voce. L'autista non ha dubbi: "vai, fai pure". Un piede dentro e un sulla strada, mi sbraccio verso il ragazzo. "Grazie! Auguri, buon anno!", "Anche a te!". La mia ragazza ed io ci muoviamo verso il fondo. L'Alibus sfreccia in corsia. 

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